venerdì 29 novembre 2013

Massaggiatore Sportivo in Padova Carletto Tonini: LE CATENE MUSCOLARI

Massaggiatore Sportivo in Padova Carletto Tonini: LE CATENE MUSCOLARI: ​ L'importanza di un massaggio completo: LE CATENE MUSCOLARI I nostri muscoli ragionano per catene muscolari. Vi chiederete che cosa ...

LE CATENE MUSCOLARI


L'importanza di un massaggio completo: LE CATENE MUSCOLARI

I nostri muscoli ragionano per catene muscolari. Vi chiederete che cosa sono queste catene muscolari. Le catene muscolari sono rappresentate da una serie di muscoli contigui tra loro e ogni singolo muscolo rappresenta un anello della catena che abbraccia l'intera struttura corporea. I muscoli appartenenti alla stessa catena, si comportano come un'unica struttura.

Quattro sono tra le principali catene muscolari del nostro corpo, ed è bene conoscerle per poterle stirare in modo ottimale.

- Catena Posteriore

- Catena Antero-Inferiore

- Catena Anteriore del Collo

- Catena Anteriore del Braccio

Vediamo nel dettaglio come sono costituite queste catene muscolari

LA CATENA POSTERIORE è la più estesa, è costituita da tutti quei muscoli profondi e superficiali che vanno dalla linea occipitale alla punta delle dita dei piedi. Comprende sul piano superficiale: il trapezio e il gran dorsale; sul piano medio: i romboidei, l'elevatore della scapola e i dentati postero-superiori e postero-inferiori; sul piano profondo può essere suddiviso a sua volta in tre piani : a) il piano superficiale costituito dalll'erettore della colonna; b) il piano intermedio rappresentato dal trasverso spinoso; c) il piano profondo comprendente i m. interspinosi e i m. intertrasversi. Sulla regione posteriore dell'arto inferiore troviamo invece il semimembranoso, il semitendinoso, il bicipite femorale, gli adduttori, il popliteo, i gemelli, il soleo, il plantare gracile il tibiale posteriore, i flessori lunghi delle dita ed i flessori plantari sulla regione posteriore del piede. Rappresenta la catena posturale della statica e ci mantiene eretti contro la gravità.

LA CATENA ANTERO-INFERIORE è costituita dagli scaleni, dal diaframma, dall'ileopsoas e dalla fascia iliaca. Questa catena è fondamentale nella respirazione. La sua retrazione trascina la testa in avanti, cifotizza il dorso e antepone le spalle.

LA CATENA ANTERIORE DEL COLLO è costituita dal piccolo e grande retto, dal lungo del collo e dal tendine centrale che collega il rachide cervicale al diaframma e all'asse viscerale. Il piccolo retto va dalla massa laterale dell'atlante all'apofisi basilare dell'occipite, il grande retto va dalle apofisi trasverse di C3-C6 all'apofisi basilare dell'occipite. Il lungo del collo è composto da tre parti: da fibre oblique discendenti, fibre oblique ascendenti e da fibre longitudinali che collegano l'atlante a D1,D2,D3. Si estende quindi dall'apofisi basilare dell'occipite al corpo della terza vertebra dorsale. I muscoli della catena anteriore del collo accorciandosi aumentano la lordosi posteriore.

LA CATENA ANTERIORE DEL BRACCIO è costituita dal coraco-brachiale, dal bicipite, dal brachiale, dal brachio-radiale, dal lungo supinatore, da tutti i flessori e pronatori dell'avambraccio compresi i muscoli dell'eminenza tenar e ipotenar. Questa catena è molto soggetta a fenomeni di retrazione e l'accorciamento cronico di questa catena determina una marcata anteposizione delle spalle, una flessione del gomito e una pronazione eccessiva dell'avambraccio alla quale si somma un' intrarotazione di tutto l'arto superiore.

Lo studio di queste catene ci fa capire come è importante stirarle in modo globale, e come lo stretching classico, quello analitico per intenderci, a poco può fare per correggere retrazioni e posture scorrette.

Mal di schiena, problemi di cervicalgia, dolori di spalla, cattive posture, ecc… nella maggior parte dei casi sono causati da muscoli accorciati, bastano poche sedute di massaggi per alleviare le tensioni, correggere la postura e soprattutto sentirsi meglio.

I muscoli insieme al tessuto connettivo formano le catene mio-fasciali dove nessun muscolo è isolato ma in relazione a tutta la catena di appartenenza.

Questo fa si che, lo squilibrio (tensione muscolare, trauma, contrattura muscolare etc.) a uno dei muscoli appartenenti alla catena, influenzerà inevitabilmente la stabilità e la funzione della stessa. Da ciò nasce l'esigenza di eseguire sia il massaggio che lo stretching in maniera globale, per catene muscolari, e non per singolo muscolo, in special modo durante la fase di recupero funzionale dopo infortunio.


cosa puo' causare una catena muscolare in disequilibrio:

1) Contrattura muscolare: che può essere definita sia come una fibrosi del connettivo muscolare che ne provoca il suo accorciamento, che come fase contrattile delle fibre muscolari causata da acido lattico, da trigger point, basse temperature ambientali.

2) Detrazione muscolare: gli estremi del muscolo, origine e inserzione, si accorciano. Questo ha come effetto primario la perdita di escursione dovuta all'occupazione (addensamento) da parte del tessuto connettivo dello spazio lasciato libero. Gli effetti secondari sono molteplici, dovuti al tipo e alla posizione anatomica del muscolo.

3) Stiramento/elongazione muscolare: è una lesione di media gravità possiamo collocarla tra una semplice contrattura e uno strappo muscolare (rottura delle fibrille/fibre) che squilibra il normale tono muscolare. La causa è dovuta all'eccessivo allungamento cui sono state sottoposte le fibre muscolari. Diverse situazioni possono causare o facilitarne il rischio: dall'insufficiente riscaldamento alla mancanza di coordinazione per scarsa preparazione atletica, da gesti bruschi e violenti a posture poco corrette. Infine anche piccoli traumi muscolo-articolari che si ripetono, stanchezza e condizioni ambientali non ottimali, fanno aumentare la probabilità di una lesione.

4) Strappo o distrazione muscolare: grave lesione con rottura di alcune fibrille/fibre che compongono il muscolo, causata durante una contrazione violenta. Può essere di minore entità con la lesione parziale (stiramento o strappo muscolare) di qualche gruppo di fibre; si manifesta con ematoma e dolore. Nel caso peggiore si ha con la rottura totale, normalmente in un punto debole (vecchio trauma, cicatrice, ecc.) o alla giunzione muscolo-tendinea; presenta dolore, impotenza funzionale, ematoma, depressione muscolare e contrattura da "difesa".

5) Distorsione: consiste in una temporanea modificazione dell'articolazione che non comporta però una perdita di contatto tra le superfici articolari come una lussazione. La distorsione provoca un danno di gravità variabile alle componenti dell'articolazione: capsula, legamenti, tendini e menischi. I sintomi caratteristici sono gonfiore, dolore e sensazione di calore. È causata da traumi o contusioni a carico delle ossa sporgenti di un'articolazione, o di movimenti innaturali delle ossa mobili, ma anche un insufficiente tono muscolare può essere una concausa.

6) Contusione: lesione conseguente a un trauma diretto. Nell'ambito dei traumi contusivi si distinguono lesioni con caratteristiche diverse:

7) ecchimosi: contusione in cui rimanendo integro lo strato superficiale si ha la rottura di piccoli capillari sanguigni con conseguente modesto stravaso emorragico

8) ematoma: contusione in cui si ha la rottura di vasi sanguigni più grandi con conseguente emorragia significativa. La raccolta di sangue può rimanere circoscritta o infiltrare i tessuti circostanti

9) abrasione-escoriazione: contusione caratterizzata da microrotture degli strati più superficiali o profondi dell'epidermide e si accompagna a modeste lesioni vascolari

10) Trigger point: "punti grilletto", si manifestano sulla pelle, su muscoli, fascia, tendini, legamenti, capsule articolari, cicatrici etc. come un'area di iperirritabilità dolente alla digitopressione. Sono in grado di amplificare un dolore già presente, o di attivarsi in seguito a traumi o durante sforzi importanti come il sovraccarico in esercizi a eccessiva contrazione mantenuta o ripetuta nel tempo.

giovedì 28 novembre 2013

LE FIBRE MUSCOLARI

L E        F I B R E        M U S C O L A R I 

Quando effettuiamo un determinato movimento, il muscolo del nostro corpo che 
deve effettuarlo si contrae. Successivamente lo stesso muscolo si 
decontrarrà 
grazie all’azione di un altro muscolo, suo antagonista, che agirà in senso 
opposto.
Il muscolo in questione e il suo antagonista sono dunque uno flessore, l’
altro 
estensore (ad esempio, bicipiti e tricipiti, quadricipiti e bicipiti 
femorali, 
eccetera…).
Le fibre muscolari sono le cellule di cui è composto il muscolo. Sono 
cellule 
di forma piuttosto allungata, che hanno la capacità di accorciarsi e 
allungarsi, determinando rispettivamente la contrazione e la distensione del 
muscolo.
Le fibre muscolari tra loro differiscono per svariate caratteristiche, tra 
cui 
dimensione, colore, resistenza e velocità di contrazione.
Per quel che interessa a noi, possiamo sostanzialmente dividere le fibre 
muscolari in tre tipi:
1) Fibre rosse (lente, di tipo 1, STF): hanno gradi capacità di resistenza 
alla fatica, eseguono molto lavoro, ma in maniera diluita nel tempo. Non 
producono una grossa quantità di forza, e hanno bassa velocità di 
contrazione. 
Sono fibre tipiche di coloro i quali fanno discipline quali sci di fondo, 
maratone etc. 
;2) Fibre bianche (veloci; di tipo IIb, FTF): possono accorciarsi molto 
rapidamente (grande capacità contrattile), imprimendo grande forza in brevi 
istanti. Non hanno, di contro, grande capacità di resistenza alla fatica. 
Sono 
le fibre tipiche degli atleti che devono imprimere grande forza in poco 
tempo 
(ad esempio scattisti, saltatori, lanciatori, etc.);3) Fibre intermedie (di tipo IIa): hanno capacità intermedie. Si adeguano 
>efficientemente agli allenamenti cui sono sottoposti, tendendo ad acquisire 
le 
caratteristiche delle fibre bianche o rosse in base all’allenamento.

LE FIBRE ROSSE

Le fibre muscolari di tipo I, dette anche rosse, scure, lente, toniche, 
torbide, ossidative, fatica-resistenti, slow red (SR), a contrazione lenta, 
tradotto dall'inglese slow twitch (ST), a ossidazione lenta, dall'inglese 
slow 
oxidative (SO), rappresentano una delle tre principali tipologie di fibre 
>>muscolari che compongono il muscolo scheletrico, detto anche striato ovolontario, assieme alle fibre intermedie (IIa) e bianche (IIb).
Questo tipo di fibra appartenente al muscolo scheletrico, presenta un'alta 
distribuzione di mitocondri dalle dimensioni maggiori e un alto contenuto 
di 
enzimi ossidativi come la succinico deidrogenasi (SDH), e la NADPH 
deidrogenasi
, poiché il loro intervento è caratteristico del metabolismo aerobico. 
Questi organuli sono collocati alla periferia della cellula o fibra 
muscolare 
per garantire un alto apporto di ossigeno e nutrienti dai capillari 
sanguigni. 
Il caratteristico colore rosso è dovuto all'alta presenza di mioglobina, 
una 
proteina incaricata di legare l'ossigeno e il ferro. Queste fibre sono 
quindi 
dotate di una maggiore irrorazione capillare. Tali cellule sono meglio 
adatte 
al metabolismo ossidativo del glucosio e traggono energia dal processo di 
fosforilazione ossidativa utilizzando allo stesso modo substrati glucidici 
(glucosio) e lipidici (trigliceridi/acidi grassi). Effettivamente il loro contenuto di glicogeno è minore, mentre la presenza di lipidi (trigliceridi 
intramuscolari) è superiore. Le fibre rosse contengono meno enzimi adenosin-
trifosfatasi (ATPasi), pertanto idrolizzano l'ATP più lentamente, così come 
meno enzimi glicolitici come la fosfofruttochinasi (PFK), e lattato 
deidrogenasi (LDH). Il loro diametro è generalmente inferiore rispetto alle 
fibre rapide, e sono raggruppate in maggior numero all'interno di un'unità 
motoria, rispetto alle bianche[1][2]. Tali fibre sono collegati ai 
motoneuroni  alfa (cellule nervose deputate all'invio degli impulsi nervosi verso le 
fibre 
muscolari) di tipo tonico, quindi a livello di prestazioni fisiche, hanno 
una 
risposta dello stimolo nervoso lenta e a bassa frequenza (5-25 hertz)[3], 
in 
grado di trasmettere impulsi nervosi più sostenuti nel tempo ma a bassi 
picchi 
di tensione, favorendo contrazioni più durature e di bassa intensità. Le 
fibre rosse sono dunque adatte al lavoro lento e di durata, mostrano una grande 
tolleranza alla fatica, una capacità di rimanere a lungo in contrazione, ed 
intervengono nell'attività di endurance, e nel caso di sforzi intensi e 
protratti].
La loro distribuzione è maggiore nei muscoli deputati al mantenimento della 
postura eretta (i muscoli posturali, che devono rimanere contratti per ore 
per 
il mantenimento della postura stessa), o in muscoli che eseguono per natura 
movimenti lenti e ripetitivi[8]. La fibra rossa è maggiormente presente e 
sviluppata negli atleti di endurance come corridori, maratoneti, ciclisti 
su 
strada, o altri atleti impegnati in discipline sportive di durata
ll'interno delle fibre rosse il trasporto di glucosio a carico dei GLUT-4 
è 
maggiore, quindi una alta presenza di fibra rossa, come per gli atleti di 
endurance, determina una maggiore sensibilità all'insulina, rispetto alla 
fibra 
bianca, più sviluppata negli atleti di potenza.

LE FIBRE BIANCHE

Le fibre muscolari di tipo IIb, dette anche bianche, pallide, rapide, 
fasiche, 
affaticabili, a contrazione rapida, o tradotto dall'inglese fast twitch 
(FT), 
glicolitiche rapide, dall'inglese, fast glycolitic (FG), a contrazione 
rapida 
affaticabili, dall'inglese fast twitch fatigable (FF), rappresentano una 
delle 
tre principali tipologie di fibre muscolari che compongono il muscolo 
scheletrico, detto anche striato o volontario, assieme alle fibre rosse (o 
di 
tipo I), e intermedie (di tipo IIa) Il tipo di fibra bianca assume un colorito biancastro a causa della scarsa 
presenza di mioglobina e mitocondri. Al contrario delle fibre rosse, sono 
provviste di una scarsa presenza di capillaried utilizzano prevalentemente 
il 
processo metabolico anaerobico della glicolisi, avvalendosi degli enzimi glicolitici come fosforilasi, glicerolo-fosfato deidrogenasi. Tali fibre 
dimostrano anche un'elevata presenza dell'enzima miosina ATPasi, >responsabile 
della velocità di accorciamento del sarcomero. Riescono ad idrolizzare 
l'ATP 
molto più rapidamente e sono inadatte al lavoro protratto. Tali fibre 
fanno 
capo ai motoneuroni alfa (cellule nervose deputate all’invio degli impulsi 
nervosi verso le fibre muscolari)di tipo fasico, in grado di trasmetteregl impulsi nervosi ad alta velocità determinando una contrazione altrettanto 
veloce delle fibre che innervano. Sono dotate di maggiori riserve di 
glicogeno, 
hanno un maggiore diametro e sono raggruppate in un numero minore 
all'interno 
di un'unità motoria rispetto alle rosse. Il riprisitino delle riserve 
energetiche avviene solo durante il riposo. Tali caratteristiche rendono 
le 
fibre bianche adatte agli sforzi anaerobici, sfruttando i meccanismi 
anaerobico 
alattacido, e anaerobico lattacido.
Le fibre di tipo 2b sono dotate di maggiore potenza, sono quindi adatte a 
sforzi intensi e di breve durata che richiedono un grande impegno 
neuromuscolare. Hanno una rapida risposta allo stimolo nervoso, e hanno 
una 
resistenza limitata, quindi accusano una grande affaticabilità[6]. Esso 
raggiungono un picco di tensione notevolmente più rapido, in 40 ms, contro 
gli 
80-100 ms della fibra rossa. Sono reclutate nelle discipline di velocità e 
potenza, o giochi di squadra che richiedono sforzi brevi e intensi. La 
fibra 
bianca è maggiormente presente negli atleti di potenza e di forza come i 
sollevatori di pesi (powerlifter, weightlifer, bodybuilder) o i 
centometristi
Alcuni studi hanno rivelato che il trasporto di glucosio a carico dei GLUT-
>4 
all'interno delle fibre bianche è minore rispetto a quello riscontrato 
nella 
fibra rossa (o di tipo 1), però la fibra bianca è provvista di maggiore capacità di stoccaggio del glicogeno[7][6]. Si osserva inoltre che un 
intenso 
allenamento di natura eccentrica determini un danno muscolare con 
conseguente 
riduzione dei GLUT-4 e ridotta sensibilità all'insulina. Sembra quindi che 
atleti di forza e potenza siano maggiormente esposti all'insulino 
resistenza 
rispetto agli atleti di endurance. Se da un lato la fibra rossa ha una 
maggiore 
affinità con l'insulina e con l'assorbimento di glucosio (maggiore 
sensibilità 
insulinica) per le sue capacità aerobiche glicolitiche, d'altra parte la 
fibra 
bianca riesce a stoccare maggiori quantità di glicogeno al suo interno per 
la 
preponderante attività anaerobica glicolitica. Entrambi i tipi di fibra, 
in 
maniera diversa, contribuiscono quindi a migliorare la sensibilità 
insulinica: 
sia atleti di forza/potenza che di resistenza/durata, con un maggior 
sviluppo 
rispettivamente di fibra bianca e rossa, dimostrano di riuscire a 
contenere i 
peggioramenti della sensiblità insulinica e quindi della tolleranza 
glucidica, 
in seguito ad un periodo di riposo forzato.

LE FIBRE INTERMEDIE

Le fibre muscolari di tipo IIa, dette anche intermedie, glicolitiche 
ossidative rapide, dall'inglese fast oxidative glycolitic (FOG), a 
contrazione 
rapida fatica-resistenti, dall'inglese fast twitch fatigue-resistant (FR), 
rappresentano una delle tre principali tipologie di fibre muscolari che 
compongono il muscolo scheletrico, detto anche striato o volontario, 
assieme 
alle fibre rosse (o di tipo I), e bianche (di tipo IIb).
Le fibre di tipo IIa o intermedie, assumono delle caratteristiche 
intermedie 
tra le fibre di tipo I (rosse) e di tipo IIb (bianche). Sono 
caratterizzate, 
come le fibre I, da una colorazione rossa, riescono ad idrolizzare ATP 
rapidamente come le fibre IIb, tramite un'abbondante presenza dell'enzima 
miosina ATP-asi, e sono dotate di una capacità ossidativa maggiore 
rispetto 
alle IIb. Hanno quindi una buona capacità aerobica e anaerobica grazie 
all'alto 
contenuto sia di enzimi glicolitici che ossidativi[1][2]. Le fibre di tipo IIa 
riescono ad adattarsi agli stimoli allenanti. Esse sono in grado di eseguire rapide contrazioni, meno rapide delle 
bianche, 
ma che possono essere sostenute per un tempo maggiore prima di incontrare 
l'affaticamento ed hanno una maggiore capacità di recupero.

Il Massaggio Sportivo contro la cellulite



Il massaggio sportivo e lo sport per combattere la cellulite

COS'E'LA CELLULITE?

La cellulite è quel “grasso” che non vi riesce di perdere.Mentre il grasso normale lo si perde con uno dei soliti regimi di dieta e ginnastica, la cellulite no, perché è qualcosa di più del semplice grasso.Dato che la cellulite non è un grasso normale, nemmeno la dieta più rigida serve a eliminarla.Quando la normale quantità di cibo ingerita viene ridotta, il corpo automaticamente brucia le proprie riserve di grasso. Con una dieta ipocalorica, il grasso sparirà da molte zone, ma le gibbosità della cellulite restano. Non bruciano come grasso normale.La dieta per la cellulite purifica il corpo dagli eccessi di grasso e dalle sostanze tossiche di rifiuto senza costringerlo a bruciare il grasso nei punti in cui non è necessario.


Zone tipiche soggette alla cellulite

Mentre il grasso normale si distribuisce su tutte le parti corpo, la cellulite sembra “preferire” certe zone particolari:

la parte interna, quella alta e posteriore delle cosce

la parte interna delle ginocchia

l’addome

i fianchi

le natiche

i lombi

la parte interna e posteriore delle braccia

le caviglie

la schiena, proprio sotto le scapole.​

Ora sappiamo che la cellulite è diversa dal grasso normale. Sappiamo che si localizza sempre nelle stesse zone.

Ma come si fa a individuarla?

Grasso e cellulite sono di aspetto molto diverso. Il grasso normale pizzicato tra due dita appare liscio e non mostra nessuna gibbosità o nodulo.

Per scoprire se avete un problema di cellulite c’è una prova facilissima e infallibile. Schiacciate o pizzicate i tessuti tra il pollice e l’indice oppure tra le palme delle mani.

Se c’è la cellulite, la pelle si presenta grinzosa e assume il tipico aspetto a “buccia d’arancia”. Inoltre in quel punto i tessuti hanno anche una sensibilità caratteristica, che non si presenta quando pizzicate una zona non cellulitica, ma semplicemente grassa.

Nell’ulteriore stadio evolutivo, i noduli saranno visibili anche senza schiacciare la pelle. Il tessuto apparirà flaccido e la sensibilità spesso scompare.


Come si forma la cellulite?​

Il corpo umano è la macchina più funzionale che sia mai stata inventata.

Pelle, ossa, nervi, muscoli, cervello, sangue collaborano tutti in modo perfetto.

Ogni parte ha una sua specifica funzione nello schema generale della vita. Noi ora ci occuperemo di un aspetto particolare di questo schema: il tessuto connettivo.

Tutti i muscoli del corpo sono avvolti in una specie di rivestimento di tessuto connettivo adiposo.

Questo rivestimento di spessore variabile, dà rotondità e morbidezza alla figura femminile.

Le cellule rotonde adipose di questo rivestimento, immerse in un liquido, sono sostenute da una rete fibrosa.

Tra le cellule circolano in continuazione i liquidi nutritivi, cioè acqua, sangue, e linfa.

Questi liquidi portano ossigeno e sostanze nutritive ai tessuti e li depurano dalle scorie.

La libera circolazione dei liquidi garantisce il processo di depurazione.

Si verifica tuttavia un cambiamento quando il processo di depurazione dei materiali di rifiuto viene rallentato nelle zone soggette alla cellulite.

Ne risulta che il tessuto connettivo, saturo di acqua e rifiuti, si ispessisce, si indurisce e forma delle sacche inamovibili.

Queste sacche si gonfiano e formano dei noduli che producono il caratteristico aspetto a buccia d’arancia, tipico della cellulite.

il tipo di massaggio

I movimenti di massaggio usati per distruggere la cellulite sono cinque:

frizione, impastamento, picchiettamento, massaggio a e torsione,

Ciascuno di questi movimenti ha un valore specifico e una diversa funzione.

La frizione leggera prepara la pelle ai movimenti di massaggio che seguiranno.

Torsione, picchiettamento, massaggio a “S” e tutti i tipi di impastamento distruggono e sciolgono i noduli cellulitici.

La frizione profonda, che di solito si fa alla fine di ogni seduta, aiuta a far defluire nel sistema vascolare le scorie liberate dal massaggio e favorirne l’espulsione.

Se si omette o si trascura la frizione profonda, tutto l’effetto del massaggio va perduto. Quindi cercate di seguire sempre questo ordine di movimenti.


Lo sport

e' sicuramente un ingrediente indispensabile per combattere la cellulite e mantenersi in forma. In palestra, nei parchi, per le strade ed in piscina insomma ovunque! Nessuna scusa quindi, niente sedentarieta', per fare un po' di movimento nel modo giusto non dovete far altro che praticare lo sport per eliminare la cellulite scegliendo l'attivita' che vi stuzzica di piu'.

Per avere migliori benefici e' necessario associare ai vari trattamenti due aspetti: l'alimentazione e l'attivita' fisica. La ginnastica, il fitness, la corsa, lo sport infatti non servono solo a bruciare grassi e ad avere un fisico piu' asciutto, ma aiutano anche a tonificare i muscoli e a riattivare la circolazione.

L'attivita' piu' indicata per combattere i cuscinetti e' quella aerobica. Infatti gli sport aerobici sono sport di resistenza, che utilizzano come fonte di energia i grassi.

Vanno praticati 3-4 volte alla settimana, per almeno 30 minuti. Ecco i piu' adatti per combattere gli antiestetici cuscinetti

Il nuoto

ha due vantaggi: fa lavorare tutti i muscoli e si svolge in acqua.Il fatto che si svolga in acqua e' molto importante: i delicati movimenti dell'acqua lambiscono la pelle, tonificano e rassodano i tessuti,esercitano un massaggio naturale, che riattiva la circolazione sanguigna e linfatica.

l'aqua-gym

Questa ginnastica acquatica offre dei vantaggi rispetto alla ginnastica tradizionale: i muscoli lavorano di piu' perche' devono vincere la resistenza dell'acqua, il corpo pesa di meno quindi non si rischiano traumi, e poi...non si suda!

Come spesso accade si e' pensato di unire due trattamenti per ottenere doppi benefici ed allora da aqua-gym + bicicletta nasce l'idrobike. I vantaggi dell'esercizio in acqua sono gia' stati descritti: si perde peso e si tonificano i muscoli. Altri vantaggi sono dati dal fatto che a differenza della semplice bicicletta la schiena e le ginocchia sono meno caricate, inoltre non c'e' possibilita' di cadere! Ed infine niente smog e niente macchine ma tanto sano esercizio in acqua anche per chi non sa nuotare, se come si aggiunge anche la musica in sottofondo il divertimento e' assicurato.

La bicicletta

e'ottima per riattivare la circolazione.

Se il problema e' rappresentato da cuscinetti localizzati e' preferibile scegliere un'andatura lenta, che sblocca la stasi venosa e linfatica.

Se invece oltre ai cuscinetti ci sono anche dei chili superflui e' preferibile scegliere un percorso piu' impegnativo, con piccoli e grande pendenze: i dislivelli infatti fanno lavorare di piu' e aiutano a dimagrire.

Jogging e Walking

sono due sport utili contro i cuscinetti: infatti l'impatto del piede sul terreno agisce come una pompa spingendo verso l'alto il sangue e la linfa.

Se si e' poco allenate e' bene iniziare per gradi: correre 5 minuti, poi camminare per altri 5, fino ad arrivare nei giorni successivi a 30-40 minuti di corsa senza sosta.

Altri benefici sono che si ha una riduzione dei fianchi ed un rassodamento dei glutei. ​






martedì 26 novembre 2013

I trigger points....

I TRIGGER POINTS
( li ricerco sempre nel massaggio sportivo per disattivarli con manovre specifiche)

I trigger point sono disturbi molto conosciuti, ma da sempre tenuti poco in considerazione non solo nelle lombalgie, ma in tutte le problematiche a carico dei muscoli.

Essi, nel momento in cui si attivano ( o si irritano) determinano rigidità muscolare e dolore, quest’ultimo di intensità variabile.

Le condizioni che provocano l’attivazione del trigger point possono essere attribuite a traumi, dolori mestruali, dolori renali, disturbi intestinali, movimenti improvvisi e scorretti, colpi di freddo, ecc.

Difficile è determinare qual è il trigger point attivo e qual è l’elemento che l’ha irritato, in quanto molti di essi irradiano il dolore nella medesima zona, quindi sono confondibili tra di loro.

La lombalgia scompare nel momento in cui i trigger point si disattivano e ciò può avvenire in maniera autonoma oppure con l’aiuto di terapie fisioterapiche o farmacologiche.

Se il fisioterapista o il massaggiatore è in grado di identificare subito il trigger point responsabile, il disturbo scompare nell’arco di 2-3 giorni, diversamente l’algia può durare per diverse settimane .

Il TRIGGER POINT detto anche “punto di grilletto”, è un disturbo muscolare che manifesta tutto il suo potenziale doloroso (sintomatologia dolorosa e/o limitazioni funzionali) lontano dalla zona del corpo in cui esso si trova. Un TRIGGER POINT può essere definito come un punto di iperirritabilità circoscritto e ben definito e nella maggior parte delle volte ben identificabile topograficamente. Il TRIGGER POINT si può distinguere in maniera semplicistica in 2 gruppi:

1)TRIGGER POINT ATTIVO: provoca la sintomatologia dolorosa ed esercitando una pressione su di esso si è in grado di rievocare o aumentare il disturbo già presente.

Quindi il trigger attivo è

- dolorabile

- produce un quadro doloroso riferito specifico

- si accompagna a disfunzione del muscolo in cui è presente ( incompleto allungamento e debolezza del muscolo sede di TP)

- si accompagna a fenomeni autonomici riferiti specifici nella zona di referenza del dolore

(vasocostrizione locale, sudorazione, lacrimazione, corizza, salivazione, attività pilomotoria)

- la sua digitopressione evoca o riacutizza il dolore del paziente

2) TRIGGER POINT LATENTE: In un paziente che non presenta alcun dolore, la stimolazione del TRIGGER POINT riproduce una serie di dolori o disfunzioni muscolari in aree ben precise e definite. Una volta cessata la stimolazione i vari sintomi scompaiono.

TRIGGER POINT LATENTE:

Può riprodurre esattamente tutti i quadri clinici dell'attivo, tranne quello di dar luogo al dolore spontaneo del paziente. In assenza di stimolo il punto è clinicamente silente, rispetto al dolore, ma dà tutti gli altri quadri: disfunzione muscolare, fenomeni autonomici, ecc.

Un TP latente può essere attivato da:

1. Postura prolungata del muscolo interessato in posizione accorciata, come, ad es., durante il sonno.

2. Raffreddamento del muscolo (non solo per correnti d’aria fredda), specialmente se questi è affaticato.

3. Durante o dopo una patologia virale.

4. Improvvisa e insolita contrazione di un muscolo sede di TP latente come nel caso della riattivazione in contrazione di un muscolo antagonista in seguito al rilassamento del muscolo agonista per effeto della terapia specifica del TP.

Il TRIGGER POINT da latente si può trasformare con facilità in attivo attraverso :

– Traumi diretti o indiretti

– Gravidanza

– Postura prolungata del muscolo in posizione di accorciamento o contro una resistenza massimale

– Raffreddamento del muscolo specialmente se questo è affaticato

– Improvvisa e velocissima contrazione del muscolo

– Altri trigger point

– Malattie viscerali, cuore, reni, ecc

– Ernie cervicali o lombari

La disattivazione del TRIGGER POINT e la sua eventuale eliminazione consentono al paziente di tornare ad una normale vita quotidiana senza dolori né limitazioni funzionali in tempi brevissimi. Caratteristiche dei trigger point:

– Determinano il dolore proiettato

– I’ irritabilità ed il dolore cambiano di ora in ora e di giorno in giorno

– Possono causare vasocostrizione locale, sudorazione, lacrimazione, disturbi propriocettivi ( mancanza di equilibrio, capogiri, alterazione dei pesi tenuti nelle mani).

– Causano rigidità muscolare e debolezza; si presentano scompensi posturali e riduzione della forza senza ipotrofia muscolare

– Dolore durante l’allungamento attivo e/o passivo

– Allungamento limitato causato dalle bandelle contratte

– Dolore aumentato in presenza di una resistenza (soprattutto fissa)

– Alla palpazione si possono percepire delle bandelle contratte o noduli

– La pressione esterna eseguita sul tp riproduce i sintomi presenti (dolore, formicolio, parestesia,ecc)

– Segno del salto al momento della palpazione

– In presenza di tp l’esame elettromiografico è normale

– Il tempo non incide sulla disattivazione; i tp attivi possono restare tali per anni.

DIAGNOSI DI TRIGGER POINT ATTIVO:

Nei casi ci sia incertezza sul rapporto tra trigger point e area bersaglio si possono usare i seguenti criteri diagnostici di identificazione del punto trigger attivo:

1. Storia di esordio improvviso durante o subito dopo uno sforzo acuto, oppure esordio graduale da sovraccarico cronico del muscolo affetto

2. SEGNO DELLA "CORDA"

il muscolo che contiene un TP (o più di uno) presenta bande miofasciali ben palpabili, rigide di consistenza cordoniforme o nodulare.

3. SEGNO DEL "JUMP":

all’interno della banda miofasciale rigida, palpando a scatto trasversalmente alla direzione dei fasci muscolari si evidenzia un’area focale di dolorabilità che induce una consistente contrattura muscolare locale di breve durata, che può essere accompagnata da una viva reazione del paziente (iperpatia).

4. Debolezza e riduzione del grado di allungamento del muscolo interessato, senza atrofia. Il gruppo muscolare esaminato si presenta rigido, accorciato e indebolito. L’allungamento passivo del muscolo interessato aumenta il dolore, così come la contrazione contro una resistenza fissa.

5. IPERALGESIA DELLA PIEGA CUTANEA:

fastidio locale quando venga sollevata una plica cutanea sovrastante il TP.

6. Iperemia o presenza di dermografismo bianco o panniculosi sulla cute sovrastante un TP, in seguito a sfioramento, palpazione della cute stessa, skin rolling test.

7. Caratteristico dolore riferito o irradiato, specifico per quel muscolo, riprodotto dalla digitopressione o puntura dello spot dolorabile. Iperalgesia profonda e disestesia sono comunemente presenti nell’area di dolore riferito; così come alterazioni non-sensoriali quali: disturbi autonomici e propriocettiv

8. Eliminazione dei sintomi attraverso una terapia diretta specificamente al muscolo affetto.

Questi segni possono essere evocati tramite le seguenti manovre:

PALPAZIONE A PIATTO (Flat palpation):

Può effettuarsi per quei muscoli che possono essere compressi su un piano osseo. Va eseguita non con il palmo della mano, ma con le dita in abduzione utilizzando la falange distale, con movimento trasversale, perpendicolare rispetto alla lunghezza e al decorso delle fibre del muscolo da esplorare, in modo da far scivolare il tessuto sottocutaneo sulle fibre muscolari.

La prima cosa da fare dopo il sospetto dell'esistenza della patologia, è di mettere in stretching la parte, in modo tale che il paziente assuma una posizione che metta in estensione il gruppo muscolare interessato fino quasi alla percezione di un leggero dolore spontaneo, senza però elicitare un dolore riferito.

Occorre effettuare la palpazione con intensità leggero-medio, procedendo perpendicolarmente al decorso principale delle fibre.

Quello che ci evidenzia per primo se il muscolo è sede di trigger è il "SEGNO DELLA CORDA": non la classica compattezza della fascia muscolare, ma un aspetto cordoniforme, come una corda tesa: subito dopo la palpazione si evidenzia una iperemia, raramente un dermografismo bianco, più frequentemente il dermografismo rosso.

L'esistenza di queste bande è resa possibile quando la muscolatura sovrasta una struttura ossea, mentre per muscoli tipo lo sternocleidomastoideo e lo scaleno mancando un supporto rigido sottostante occorre effettuare la palpazione a pinzettamento.

PALPAZIONE A SCATTO (Snapping palpation):

Procedendo lungo la banda tesa, quindi avendo avuto le indicazioni sulla conoscenza delle mappe dei trigger e del loro dolore riferito, si esegue la palpazione a scatto (la banda va "pizzicata" come una corda della chitarra) laddove il muscolo è supportato da una superficie dura, altrimenti si effettua un pinzettamento fisso, e si va a scovare all'interno di questa banda tesa quel focus di massima sensibilità tale che la pressione che si esercita su di esso elicita una consistente contrattura muscolare locale di breve durata di quel segmento esplorato, che si percepisce come un nodulo, e che riproduce il dolore del paziente (quando il trigger è attivo), cioè un dolore locale intenso e il dolore riferito.

Se trovo il punto trigger avrò un dolore locale con iperalgesia, e il SEGNO DEL SALTO (viva reazione del paziente).

PALPAZIONE A PINZETTAMENTO (Pincer palpation)

Si esegue afferrando il ventre muscolare interessato tra pollice e dita e sfregando le fibre tra di loro con un movimento di rolling avanti e dietro per localizzare le bande tese. Una volta localizzate, si esplorano nella loro lunghezza per evidenziare lo spot di massima sensibilità in risposta alla minima pressione:il TP.

(Dal web,vari articoli)